Il Paesaggio nell’Arte dell’Ottocento (PARTE 3)

Leggi anche la PARTE 1 e la PARTE 2

Proprio in quel periodo, la fede cieca nella natura trova in Courbet il pittore che la renderà popolare[1].

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Contemporaneamente però il Salon e tutte le istituzioni artistiche ritenevano volgare dipingere ciò che si vede, affermando che la natura doveva essere perfezionata al servizio dell’ideale. Il conflitto tra realismo e accademismo affonda le sue radici nel sociale. Il conte di Nieuwerkerke, a capo del mecenatismo del Secondo Impero, disprezza profondamente questo stile, considerando quella di Barbizon “pittura dei democratici”[2], e condannando così all’indigenza quasi tutti i più maggiori artisti del suo tempo. Ma la grande pittura non si può fermare, infatti al rifiuto del Salon Courbet risponde con la grande mostra personale del 1855, che conteneva quattordici paesaggi di pittura schiettamente popolare. Non c’è lo studio di Constable per la tradizione del paesaggio, né l’ammirazione di Corot per Lorrain. L’artista sceglie soggetti che esercitano un’attrazione immediata e vi indugia con gusto. Vi è una particolare relazione di tono tra cielo, mare e roccia che anticipa in modo indefinibile le cartoline illustrate[3].

Negli esempi migliori i paesaggi di Courbet sono grande pittura, poiché la sua abilità e il suo potere creativo sono straordinariamente comunicativi, ma soprattutto perché la fede nella natura è ancora nella sua pienezza.

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Dato il suo forte impatto emotivo e le sue implicazioni sociali, il realismo si diffonde rapidamente in tutta Europa, con differenti accenti a seconda della cultura locale in cui si innesta, fondendosi con Romanticismo o tendendo verso il futuro stile impressionista.

I paesaggisti italiani più rappresentativi della nuova realtà artistica sono probabilmente gli esponenti della Scuola di Posillipo[4].

Per Scuola di Posillipo si intende un gruppo di artisti dediti esclusivamente alla pittura di paesaggio, riuniti a Napoli, nel terzo decennio dell’Ottocento, prima intorno ad Anton Sminck van Pitloo e poi intorno a Giacinto Gigante.

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Il nome inizialmente ha valenza dispregiativa, ed è adottato dagli artisti dell’ Accademia locale, che ritengono questi pittori di scarsa valenza sia per l’interesse esclusivo che nutrono nei confronti del paesaggio e sia per il successo che i loro quadri riscuotono presso i turisti, soprattutto americani, che visitavano la penisola.

La scuola nasce intorno al 1820, quando l’atelier di Anton Sminck van Pitloo, un vedutista olandese residente a Napoli dal 1816, diviene luogo di ritrovo e di apprendimento per giovani pittori[5].

La pittura di Pitloo subisce nel tempo un’evoluzione che parte da un vitreo vedutismo di tradizione olandese, per approdare ad una sensibilità romantica del paesaggio, che risente della lezione di Corot, senza tuttavia dimenticare l’eredità seicentesca del vero. Il suo stile subirà un’ulteriore sterzata negli ultimi anni, grazie alla conoscenza delle innovazioni di Turner.

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Alla morte del Pitloo, a Giacinto Gigante tocca prendere per alcuni anni le redini della scuola, diventandone, con le sue atmosfere luminose rese quasi liquide dalla tecnica dell’acquarello, uno dei maggiori interpreti.

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Le opere di Giacinto Gigante sono sempre di piccole dimensioni. I suoi quadri non superano mai i 70 centimetri di lato e sono raramente realizzati ad olio. La sua tecnica preferita era l’acquerello a cui lui aggiungeva dei tocchi di biacca a gouache.

I soggetti sono quasi sempre vedute esterne. Solo nelle sue ultime opere si ritrova la rappresentazione di qualche interno. Da ricordare, infatti, che Giacinto Gigante aveva iniziato la sua attività giovanile come disegnatore topografico. Questa sua capacità di sintetizzare il paesaggio con pochi e precisi tratti di matita resterà una delle costanti della sua attività. Tuttavia la sua vena artistica gli permette di superare agevolmente il puro e semplice dato naturalistico per arrivare a cogliere aspetti della realtà che sono pure suggestioni interiori e psicologiche.

I suoi paesaggi sono romantici proprio perché la lettura fatta è sempre sentimentale, accentuando tutto quanto vi è di suggestivo nella veduta stessa: dagli effetti luminosi, alla densità atmosferica, all’emozione del vissuto di tutti i manufatti umani che compaiono nei paesaggi. Le case sono sempre vecchie e rabberciate: hanno le qualità estetiche non solo del pittoresco ma dell’autentico e del vissuto. La sensazione di dejà vu (già visto) che trasmettono queste immagini sono la riprova della loro valenza intimistica. Ed è proprio questa sensazione di ricordo di un mondo, che sembra oramai confinato ad un passato scomparso, a caricare queste immagini di una dolce ma struggente malinconia. Nessuno come Giacinto Gigante riesce a rappresentare la bellezza dei luoghi come risonanza di sensazioni interne.

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Stilisticamente i suoi quadri mutuano la tecnica da Antonio Pitloo: l’anticipo della macchia, le abbreviazioni formali, il gioco di luce e di ombre, la voluta trasparenza della figura umana, tipica soprattutto dei suoi acquerelli[6].

La ricerca di Gigante giunge a risultati stilistici molto aggiornati rispetto al panorama artistico europeo, al punto di anticipare rappresentazioni di solo colore che diverranno abituali solo dall’Impressionismo in poi. Gli effetti di luce creano un’atmosfera calda, in cui rapide pennellate forniscono una ricchezza cromatica molto accattivante sul piano estetico.

Nella sua prima formazione la scuola si rifà al paesaggio di ascendenza pittoresca, ma puntando soprattutto sui valori lirici e caricando i paesaggi di umori romantici. La pittura di paesaggio, considerata in Italia ancora un genere minore, paradossalmente proprio per questa «disistima» poteva godere di maggiore libertà, rispetto agli altri generi, liberandosi dai vincoli accademici e dimostrando un sollecito aggiornamento alle tendenze europee. Infatti sarà proprio la scuola di Posillipo ad essere maggiormente influenzata dagli artisti stranieri presenti a Napoli, fra tutti William Turner con la forza della sua luce, e Camille Corot, rappresentante del nuovo paesaggio francese della Scuola di Barbizon.

Nello stesso periodo alcuni interessanti paesaggisti si stavano riunendo in Germania intorno alla Scuola di Düsseldorf.

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Il termine si riferisce ad un gruppo di pittori che hanno insegnato o studiato presso l’Accademia di Düsseldorf tra il 1830 e il 1840, quando l’Accademia era  diretta dal pittore Wilhelm von Schadow[7]. Il lavoro della Scuola di Düsseldorf è caratterizzato da paesaggi fantasiosi ma anche ricchi di particolari, spesso con storie religiose o allegoriche ambientate nei paesaggi. Esponenti della Scuola di Düsseldorf sostengono, come i colleghi di Posillipo, la pittura “en plein air”, e tendono a utilizzare una tavolozza con i colori tenui e relativamente uniformi. La Scuola è un’importante rappresentante del Romanticismo tedesco, e ha raccolto intorno a sé pittori di ogni nazionalità, divenendo tappa obbligata dei tour artistici europei. I suoi più importanti paesaggisti  sono Johann Wilhelm Schirmer , che nasce come pittore di storia ma modifica i suoi interessi proprio grazie all’influenza degli artisti di Düsseldorf…Immagine

…e i fratelli Achenbach.

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In particolare Andreas nei suoi primi lavori segue lo pseudo-idealismo della scuola romantica tedesca, ma l’influenza più forte di Louis Gurlitt dirige il suo talento verso nuove forme espressive, rendendo Achenbach il fondatore della scuola realistica tedesca. Sebbene dai suoi paesaggi si evinca il perfezionismo che a volte spegne l’impeto espressivo, Andreas è un maestro della tecnica, ed è storicamente importante come un riformatore.

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Probabilmente anche il viaggio di Achenbach a San Pietroburgo ha contribuito alla formazione, negli anni Sessanta, della corrente realistica russa, conosciuta con il nome di Peredvizhniki (in inglese The Wanderers o The Itinerants).

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Nel 1863 un gruppo di quattordici studenti decide di lasciare l’Accademia Imperiale delle Arti di San Pietroburgo perché le regole dell’Accademia sono ormai un vincolo troppo asfissiante, gli insegnanti conservatori e assolutamente anacronistica la rigida separazione tra arte alta e bassa. Nel tentativo di portare l’arte al popolo, gli studenti formano una società artistica indipendente[8]. Nel 1870, gli artisti Peredvizhniki creano l’Associazione di mostre d’arte itineranti, per dare la possibilità alle persone delle province di seguire l’evoluzione dell’ arte russa, e insegnare alla gente comune, che aveva difficile accesso alle mostre ufficiali, ad apprezzare l’arte. La forze della società risiede nella sua indipendenza dal sostegno statale e ha portato l’arte, che illustrava la vita contemporanea dei cittadini di Mosca e San Pietroburgo, alle province.

I Peredvizhniki sono stati influenzati dalle opinioni dei critici letterari Vissarion Belinsky e Nikolai Chernyshevsky , entrambi sostenitori delle idee liberali. Belinskij pensava che la letteratura e l’arte  hanno una responsabilità sociale e morale. Come la maggior parte degli slavofili, Chernyshevsky ardentemente sosteneva l’emancipazione dei servi della gleba, finalmente realizzata nella riforma del 1861. Egli considerava la censura sulla stampa, la servitù della gleba, e la pena capitale come influenze occidentali. A causa del suo attivismo politico, i funzionari vietano la pubblicazione di uno dei suoi scritti, compresa la sua tesi, ma alla fine trova la sua strada verso il mondo dell’arte del XIX secolo in Russia. Nel 1863, quasi subito dopo l’emancipazione dei servi della gleba, gli altri obiettivi di Cernysevskij sono realizzati proprio con l’aiuto dei Peredvizhniki, che hanno preso l’idea pervasiva slavofilo-populista che la Russia ha avuto una peculiare e preziosa, bellezza interiore e hanno lavorato per estrinsecarla su tela[9].

All’interno del movimento il genere più popolare è quello paesaggista, che fiorisce tra il 1870 e il 1880. I Peredvizhniki dipingono soprattutto con la tecnica “en plein air”. Due pittori, Ivan Shishkin e Isaak Levitan, rappresentano solo panorami russi. Shishkin è ancora considerato il “Cantore della foresta”[10]Immagine

…mentre i paesaggi di Levitan sono famosi per i loro stati d’animo intensi.

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I Peredvizhniki dipingono paesaggi per esplorare le bellezze del proprio Paese e incoraggiare la gente comune ad amarlo e preservarlo. Questo movimento ha dato un carattere nazionale ai paesaggi, in modo che i fruitori stranieri fossero in grado di riconoscere a primo impatto la peculiarità degli scenari russi. I paesaggi dei Peredvizhniki sono le incarnazioni simboliche della loro nazionalità[11].


[1] C. Brooke, Courbet e la stagione del Realismo in Francia, E-ducation S.p.A. 2008, Firenze, pag 89

[2]“E’ pittura di democratici, gente che non si cambia la biancheria, e che pretende di imporsi nella buona società”. J. Rewald, Storia dell’Impressionismo, Sansoni, Firenze, 1949, pag. 13

[3] C. Brooke, Courbet e la stagione del Realismo in Francia, pag. 115

[4] R. Causa, La scuola di Posillipo, F.lli Fabbri Editore, Milano, 1967, pag. 12

[5] Ibidem, pag. 15

[6] Ibidem, pag. 46

[7] Friedrich Wilhelm Schadow (Berlino, 7 settembre 1789 – Düsseldorf, 19 marzo 1862) è stato un pittore tedesco. Insieme con il Nazareno Peter von Cornelius , ha fondato la Scuola di Dusseldorf .

[8] E. Smirnova, La pittura russa, Electa, Milano, 2001, pag. 768

[9]  Sartorti, Rosalinde (2010). “Pictures at an exibition: Russian land in a global world”. Studies of East European thought

[10] E. Smirnova, La pittura russa, pag. 772

[11]  Ely, Christopher (2000). “Critics in the native soil: landscape and conflicting ideas of nationality in Imperial Russia, Ecumene 7

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. elena ha detto:

    Grazie per questo bellissimo post! E per aver tolto un po’ di ignoranza dalla mia mente (non conoscevo nulla dei paesaggisti Russi)

    1. musa inquietante ha detto:

      Grazie a te per averlo letto!!! 🙂

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